SUL SENTIERO DI ABRAMO

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Il privilegio di grazia, di cui è stata fatta oggetto da parte di Dio in vista della sua missione, non ha sottratto Maria alla prova del cammino oscuro della fede; cammino che ha percorso fino in fondo, accettando umilmente il mistero incomprensibile del suo figlio, dall'ora di Betlemme all'ora di Cana e all'ora del Calvario. L'evangelista Giovanni la presenta perciò come la nuova Eva, la “donna” preannunciata nel Genesi come cooperatrice del nuovo “Adamo” nella rigenerazione dell'umanità. Partecipe del parto doloroso di Cristo sulla croce, Maria è infatti costituita madre dei redenti. E come tale, fin dai primi secoli, la venera la chiesa che nello stesso tempo vede in lei la propria immagine futura, già perfettamente realizzata. Maria entra come cooperatrice di Dio nel piano della salvezza mediante il suo atto di fede che è anzitutto accoglienza della parola divina. Ella non comprende; si trova davanti al mistero; ma nella semplicità e con la fiducia che è propria dei “poveri”, si espone al rischio: abbandona la sua vita nelle mani di colui al quale “nulla è impossibile” (Lc. 1,45). Questo atteggiamento di pura fede ha il suo mirabile precedente nella storia di Abramo (Rm. 4).
Credere significa affidarsi, rimettersi a un altro. Ma questo è possibile soltanto se l'altro si mostra con il volto dell'amore. È per questo che a Maria Dio appare credibile, così come era apparso credibile ad Abramo, perché gli si era rivelato come presenza amica. Nella perplessità del momento, identica è la parola rassicurante che Dio rivolge al patriarca e alla vergine: “Non temere Abramo io sono il tuo scudo” (Gen. 15,1); “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc. 1,30). E per entrambi l'accettazione di quello che appare impossibile dà il suo frutto di fecondità (Gen, 18; Lc. 1). Abramo credette e, per la sua fede, l'impossibile si fece realtà: nel grembo sterile di sara germinò un figlio (Cf. Gen. 15,6; 21,1-7; Rm. 4,18-21). Maria credette e nel suo grembo verginale il verbo di Dio si fece carne.

 

 


La parola di Dio opera potentemente dove trova la disponibilità piena della fede, dell'amore e della speranza. Dio vuole dare il salvatore in risposta a una speranza che egli stesso ha suscitato. La nascita del figlio della promessa non sarà quindi frutto puramente biologico, ma frutto di una fede condotta da Dio alla sua maturità. Ed è appunto nella vergine Maria che Israele tocca quel vertice di fede e di speranza per cui il figlio di Dio può non solamente nascere nell'umanità, ma dall'umanità come suo frutto. Ma come già lo fu per Abramo, la fede è per Maria un cammino; è un cammino nella notte, pieno di incognite, irto di difficoltà. Per lei come per ogni cristiano, la fede giunge gradualmente a maturazione e non senza passare attraverso le stagioni più crude. Dopo l'iniziale contraddizione tra il suo proposito di rimanere vergine e l'annuncio di una maternità, ella viene via via a trovarsi in situazioni che le appaiono umanamente assurde. Segno di contraddizione per la sua fede è proprio quel figlio che le è stato donato e al quale ormai è ordinata tutta intera la sua vita. Senza comprendere, ella deve infatti accettare il mistero di suo figlio e attendere, nell'abbandono fiducioso, che lo svolgersi del tempo e il compiersi degli avvenimenti facciano luce su tutte le cose che ella raccoglie e custodisce – meditandole – nel suo cuore (Lc. 2,19). Ne farà esperienza soprattutto a partire dalla vita pubblica di Gesù.
In quegli anni sembra quasi che egli voglia eclissare sua madre tra la folla. Le rare comparse di lei sulla scena evangelica sono così sfuggevoli e in secondo piano, da non lasciare quasi il tempo di riconoscerla: Ella è semplicemente una di quelli che seguono il maestro di Nazaret per ascoltare la sua parola (Lc. 11); e, di fronte al paradossale messaggio del figlio, anche la sua fede è messa a dura prova (Me. 3). In mezzo a una folla instabile e anonima, che passa dall'entusiasmo per Gesù alla delusione e al disprezzo, ritenendolo pazzo e indemoniato, il cuore materno di Maria non può sottrarsi alla perplessità e all'angoscia e non può essere senza peso per lei il dubbio che avvolge quelli della sua stessa parentela. Ma anche il comportamento del figlio nei suoi confronti può bastare per mettere al crogiuolo la sua fede. Come noi, che ogni giorno ci scontriamo con le innumerevoli difficoltà della fede, anche lei ha dovuto credere senza vedere, credere talvolta contro l'evidenza dei fatti, credere all'amore di un figlio che era totalmente assorbito dagli altri; credere all'amore di un Padre che abbandonava alla morte suo figlio.
E di fatto il cammino di Maria fu sino alla fine il cammino di Abramo nella notte, verso la montagna del sacrificio (Cf. Gen. 22; Gv. 19). Ma da tutte le oscurità della fede uscì sempre più illuminata e temperata. Additando ai cristiani la madre di Cristo quale “eccellentissimo modello della fede nella carità” il concilio Vaticano II non esita ad affermare che ella “avanzò nella peregrinazione della fede” (Cf. Lg. 53 e 58) e che proprio in questo sta il suo merito e l'efficacia della sua intercessione per noi. Scrive Ortensio da Spinetoli: “Lasciandola nell'oscurità della fede, Dio ha voluto dare un attestato di onore, un atto di fiducia alla fermezza del suo assenso… Nonostante i suoi privilegi, il Signore ha voluto che ella restasse una donna del popolo, umanamente in tutto simile alle altre creature. La sua vocazione era quella di ascoltare, di apprendere quotidianamente il mistero suo e del proprio figlio, di dare agli uomini, ai piccoli della comunità, un supremo esempio di fiducia e di abbandono in Dio”.

don Cristiano Vannucchi

 

 

 

 

 

 

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